MALATI DI STANCHEZZA: reali o immaginari?
#1
Inviato 18 agosto 2006 - 12:50:13
Di Johann Rossi Mason
“Dottore, mi sento stanco, ma così stanco…al mattino mi sveglio e mi sembra di non aver affatto riposato, eppure vado a letto presto…mi fanno male tutti i muscoli, sono ormai sei mesi che sto così, non riesco a fare più nulla e anche il mio rendimento sul lavoro è notevolmente peggiorato….”
E’ questa la descrizione sommaria di un ipotetico paziente affetto da Sindrome da Fatica Cronica (CFS), un disturbo ancora poco conosciuto e per il quale la diagnosi differenziale è piuttosto complessa. Il sintomo ‘fatica’ o stanchezza’ infatti è caratteristico di molte patologie come: carenza di ferro, diabete, ipotiroidismi, depressione, cattiva alimentazione, ansia, malattie respiratorie, tumori, disturbi neurologici, infezioni, gravidanza, attività fisica estrema ed eccessivo stress.
Chiamata anche “encefalomielite mialgica” (definizione in realtà usata in Inghilterra prevalentemente) è stata descritta nella prima metà del ‘900 confondendola con la ‘neuroastenia’, il più noto ‘esaurimento nervoso’. Si tratta di soggetti che in assenza di motivi medici o psicologici definibili, hanno sviluppato una sintomatologia di ‘fatica cronica’ per una durata di almeno sei mesi che limita in maniera drammatica le normali attività quotidiane di una persona per altri versi definibile ‘sana’.
I sintomi devono essere presenti in un numero di almeno 4 o più per un periodo di almeno sei mesi:
1.Mal di testa intenso e con modalità sintomatiche diverse (cefalea, emicrania, a grappolo, nucale ecc.)
2.Dolori muscolari
3.Gola secca
4.Linfonodi ingrossati a livello del collo
5.Sonno che non da riposo
6.Dolore a diverse articolazioni senza visibili segni infiammatori (arrossamenti o altro)
7.Perdita delle memoria a breve termine o severa incapacità a concentrarsi nel lavoro, a scuola o nelle attività quotidiane
8.Sensazione di debolezza dopo ogni sforzo che dura molto più di un giorno.
·La fatica percepita deve essere notevole, che non trae beneficio dal sonno o dal riposo.
·La fatica percepita non deve essere il risultato né di esercizio fisico né di un eccesso di lavoro. Rende la vita impossibile e anche piccolissimi impegni fisici la peggiorano gravemente.
·La fatica deve essere una condizione “nuova” e spesso l’aggravarsi della sintomatologia ha un momento di esordio molto preciso e ben identificabile: tant’è che in uno studio un episodio di raffreddore è stato momento scatenante nel 20% dei casi esaminati.
Spesso i pazienti ricordano che il primo disturbo che a manifestarsi è stata una infezione virale del tratto respiratorio superiore, contrassegnata da febbre, mal di testa, dolori muscolari e all’orecchio, congestione, naso pieno, tosse, diarrea e senso di fatica. Questo ‘episodio’ non è più grave di un normale raffreddore, ma su di esso può innescarsi la malattia, che rimane stabile per mesi o anche anni ed essere contrassegnata da nuove ricadute simil-influenzali, che peggiorano il quadro inziale e durano da alcune ore ad alcune settimane.
Negli ultimi anni sono state formulate molte ipotesi eziopatogenetiche della malattia, malgrado alcuni ricercatori neghino l’esistenza di una malattia a se stante. La presenza di anomalie a carico del sistema immunitario, l’ipotesi di un agente virale o infettivo, e quella di anomalie cerebrali, messe insieme, potrebbero spiegare il disturbo, ma rimane il dubbio di quale sia la sequenza di avvenimenti che effettivamente causano lo sviluppo della sindrome. Possiamo prendere in esame le varie teorie sinora formulate partendo da quelle sul sistema nervoso centrale e gli ormoni.
In questi pazienti sono state rilevate sia delle ‘infiammazioni’ cerebrali, che delle cadute nel livello del cortisolo. Si è quindi pensato che la minore disponibilità di questo ormone renda più esposti ad infezioni virali con una risposta aumentata da parte del sistema immunitario e lo sviluppo dei sintomi tipici della malattia.
Per quanto riguarda le infezioni la teoria è stata formulata sulla presenza di una connessione cronologica tra il raffreddore e l’inizio dei sintomi. Purtroppo però tutti gli studi diretti all’individuazione di un virus o di un batterio non hanno portato ad alcun risultato, rendendo possibile una spiegazione suggestiva secondo la quale il batterio non noto attiva le risposte immunitarie, viene eliminato, mantenendo però una condizione di iporeattività stabile: una sorta di delitto perfetto in cui l’arma non viene mai trovata.
Ci si è poi diretti a studiare le anomalie del sistema immunitario, e ne sono state definite alcune senza però mai raggiungere indicazioni di certezza. Tra queste le allergie, presenti in oltre il 50% dei pazienti che riferiscono ‘fatica cronica’. Ma la maggior parte degli allergici non soffrono della CFS. Allo stesso modo la ricerca di alti livelli di autoanticorpi non ha consentito altro che confermare l’esistenza di una tendenza ma con risultati aspecifici e mai definitivi.
E’ stata poi analizzato un particolare tipo di ‘ipotensione’, quella chiamata “neuralmente mediata” (ipoteticamente causata da un virus) in cui i pazienti hanno una drammatica caduta della pressione stando in piedi anche solo per dieci minuti: questa caduta presso ria potrebbe determinare effetti retroattivi della caduta della pressione come stordimento, sbandamenti, vertigini ecc.
Se ne deduce che sulle cause effettive della sindrome si sia ancora in alto mare, fatto che non fa che aumentare in alcuni lo scetticismo e la perplessità sulla sua effettiva esistenza, che si traduce in un mancato riconoscimento del disturbo e nel mancato tentativo di trovare una terapia, con una sottovalutazione dei malesseri: il paziente così si sente ancora più demotivato e frustrato.
Come si effettua la diagnosi
Innanzitutto vanno prese in attenta analisi la storia familiare e personale del paziente compresa una valutazione psicologica ed un esame fisico completo con analisi di routine. Negli USA prescrivono analisi della funzionalità tiroidea (T3, T4 , TSH), esame per la funzione renale, epatica, per il diabete e un ECG. In aree endemiche in test per la Malattia di Lyme in presenza di fattori di rischio per l’HIV. Naturalmente senza ignorare un esame neurologico e una RMN per escludere sclerosi multipla o altri problemi neurologici.
Le domande a cui il medico deve rispondere nel raccogliere l’anamnesi sono:
1.Quando è iniziata la ‘fatica’?
2.Cosa la peggiora o la migliora?
3.E’ minore in certe ore del giorno?
4.L’attività fisica la migliora o dà sollievo?
5.Esiste una familiarità per questo disturbo?
6.La vita personale o lavorativa è stressante?
La diagnosi differenziali della CFS deve essere fatta tenendo conto di un gran numero di disturbi collegati a quasi tutti gli organi e apparati. Rispetto al sistema cardiovascolare e polmonare le malattie con cui ci si deve confrontare sono l’arteriosclerosi, l’infarto posteriore del miocardio, l’enfisema e il disturbo interstiziale. Nell’apparato endocrino si devono tenere presenti il diabete, i disturbi di tiroide e paratiroide e la Sindrome di Cushing , mentre in quello gastroenterico sia le ulcere che il cancro al pancreas e al colon e l’epatite cronica presentano sintomi sovrapponibili a quelli della fatica cronica. L’anemia, le leucemie croniche, i linfomi e il mieloma multiplo sono le malattie dell’apparato emopoietico che possono essere scambiate per CFS, mentre per l’apparato genito-urinario occorre differenziare i disturbi renali cronici e le forma tumorali a carico di vescica, utero e prostata. Un’ultima attenzione va posta ad alcuni disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico quali l’artrite reumatoide, il lupus, la fibromialgia e la spondilite anchilosante.
Esistono poi delle cause correlate legate a disturbi del sonno come l’insonnia e la sleep-apnea: in questi casi va richiesta la collaborazione del partner del paziente ed eventualmente la prescrizione di una ‘polisonnografia’ capace di definire l’entità clinica del problema.
Non esiste, bisogna dirlo, una vera e propria terapia per la CFS: l’approccio più comune è basato su ‘trials and errors’ a seconda dl tipo di paziente e della sua storia: in genere il medico suggerisce alcuni cambiamenti dello stile di vita quali una modesta attività fisica che, nonostante all’inizio sia percepita come faticosa, sembra funzionare come anti-stress grazie all’attivazione delle endorfine. Inoltre una dieta con pochi grassi e molte fibre, frutta e verdura fresca, sembra aiuti per la presenza di alcuni acidi grassi essenziali. Altro consiglio è quello di utilizzare alcune tecniche di riduzione dello stress tra cui alcuni veri e propri comportamenti da mettere in atto quotidianamente:
·Fare per prime le attività più importanti
·Non affannarsi e compiere i propri compiti senza ansia
·Ordinare le cose intorno al soggetto in maniera che risultino meno faticose e dispersive possibili
·Pianificare e gestire le proprie energie fisiche: stare in piedi costa il 25% in più di fatica rispetto alla stessa attività eseguita da seduti.
Se il paziente rifiuta o non è in uno stato tale da necessitare di un trattamento farmacologico, con i suoi svantaggi in termini di adesione al trattamento ed effetti collaterali, una delle opzioni più valide si è rivelata la “terapia cognitiva” che offre buoni risultati anche se in un tempo più lungo.
Per ciò che riguarda i farmaci sono stati usati antidepressivi, ansiolitici, analgesici, alcuni trattamenti specifici per controllare l’ipotensione oppure, a discrezione del medico, bassi dosaggi ormonali, farmaci antivirali o terapia della luce. Caso per caso l’approccio più adatto da applicare deve comunque essere soggettivo.
1.La CFS è una sindrome clinica caratterizzata da una fatica disabilitante da cause non note
2.Non c'è nessuna forma di trattamento universalmente accettata
3.Nuovi dati mostrano che i pazienti ricoverati in ospedale per la malattia stanno meglio se ricevono una terapia cognitiva in associazione a quella medica. Tale tipo di terapia psicologica deve essere considerata come fondamentale in questo tipo di malattia
4.Il miglioramento clinico con la terapia cognitiva può essere lento ma continua dopo la fine del trattamento
Una condizione sperimentale è quella che si è manifestata durante il periodo della Guerra del Golfo: infatti il 45% dei veterani (con un 6% di casi valutati “molto gravi”), ma anche il 15% del personale non addetto al combattimento, paragonabile quindi alla popolazione generale, ha manifestato i segni completi della malattia. In quella situazione sono stati presenti sia gli elementi psicologici da stress, sia quelli da possibile esposizione batterica e anche la presenza di agenti chimici tossici. Questo campione ha quindi rappresentato una ideale area di studio per la conoscenza della malattia ma, malgrado la precisione degli accertamenti e gli approfondimenti diagnostici differenziali, non si è riusciti a trarre che una conclusione provvisoria. Sembrerebbe che, in questo caso, lo stress abbia determinato un indebolimento della barriera ematoencefalica, rendendo possibile il passaggio nel cervello di virus capaci di determinare il danno cerebrale e di far emergere i sintomi della malattia.
Senza dover necessariamente essere dei marines impegnati in un conflitto, è stato possibile identificare alcuni soggetti più a rischio di altri: entrambi i sessi ne sono colpiti ma le donne bianche in maggior numero, specialmente quelle con problemi ginecologici tra cui le irregolarità mestruali (il che potrebbe suggerire l’assetto ormonale come co-fattore). L’età più rappresentata è quella dei giovani adulti, tra i 20 e i 50 anni, mentre paradossalmente gli anziani, ne soffrono di meno. I poveri ne sono meno colpiti o forse cadono in misura inferiore all’attenzione dei medici.
Anche i bambini non ne sono esenti: in un articolo pubblicato da Reuters e mandato in rete su CNN Italia, gli scienziati inglesi sono concordi nell’affermare che i bambini sono più soggetti alla Sindrome da Fatica Cronica, in special modo nel periodo autunnale in coincidenza con le scuole medie. Secondo uno studio del ‘Journal of the Society of Medicine’
il 76% dei bambini nell’undicesimo anno di età sviluppa la sindrome tra settembre e dicembre, in coincidenza con l’inizio del primo anno di scuola media. I risultati inducono alcuni interrogativi sul perché ci sia questo picco proprio in periodo così particolare: forse il primo anno di scuola superire e il cambiamento che impone, rappresenta una forte fonte di stress che, associato a episodi di influenza o a malattie concomitanti, possono scatenare la malattia. Il problema è che la risoluzione del disturbo è lunga e debilitante e costringendo ad assenze dalla scuola. Inoltre lo studio ha dimostrato che la maggior parte dei bambini diagnosticati come affetti dalla sindrome appartengono a classi socio-economiche più elevate, il che riflette la maggiore disponibilità di risorse mediche messe a disposizione dei genitori.
Quello dell’aumento del numero delle diagnosi di alcune patologia è un dilemma che alza i picchi di incidenza epidemiologica ma non ne spiega i reali motivi: i casi sono aumentati per ragioni organiche e ambientali o si fanno più diagnosi perché c’è una maggiore attenzione al proprio benessere e quindi ci si rivolge al medico più spesso? E’ il vecchio quesito se sia nato prima l’uovo o la gallina….
I dati epidemiologici lasciano un po’ a desiderare: tra il 15 e il 27% della popolazione americana si lamenta di ‘sentirsi stanca’ ma la maggior parte di questi casi è riconducibile ad altre ragioni. I dati dei CDC indicano come reale popolazione colpita lo 0.3% (circa 1 milione di persone). I tempi di guarigione possono essere molto lunghi: anche 4 anni dal primo episodio. Il 20% degli americani afferma di provare una fatica intensa, tale da non poter avere una vita normale, dal 20 al 60% possono essere imputate a cause fisiche, mentre dal 40 all’80% il disturbo è ricondotto a fattori ‘emozionali’.
Forse per contrastarne gli effetti sui propri dipendenti e gli innegabili costi sociali, alcune aziende americane hanno promosso al proprio interno l’abitudine del ‘sonnellino pomeridiano’ per permettere ai propri manager di ricaricare le batterie in apposite ‘naps rooms’.
Conseguenze della stanchezza sulla vita quotidiana:
·Scarsa iniziativa
·Depressione
·Aumento del rischio di incidenti, errori o distrazioni
Proprio in questi giorni negli Stati Uniti e in particolare sul sito Internet della ABC è apparsa la notizia che la neurochirurgia può aiutare in alcuni casi di CFS e di fibromialgia (un dolore cronico dei muscoli e dei tessuti molli periarticolari). Il dottor Tim Johnson che tiene sulla rete una rubrica di medicina, spiega che alcuni dei 5-10 milioni di pazienti affetti da queste due patologie possono presentare alcuni sintomi aspecifici riconducibili ad una terza malattia: la Sindrome di Chiari (o stenosi cervicale spinale) in cui un restringimento del midollo spinale alla base del cranio e del collo comprime la parte inferiore del cervello e il midollo stesso causando sintomatologia dolorosa, senso di fatica, dolori muscolari e mal di testa. In questi casi, l’approccio chirurgico prevede l’allargamento della stenosi, consentendo un maggiore spazio per il passaggio delle fibre nervose in entrata e in uscita. Ciò ovviamente è motivo della risoluzione dei sintomi. Questa soluzione può essere ipotizzata solo dopo essere ricorsi ad una approccio diagnostico come la RMN, che però non è spesso prevista nel caso della CFS e della fibromialgia, considerate malattie di tipo autoimmune o di origine virale. Si tratta di un approccio ulteriore, non valido per la totalità dei pazienti, ma solo per una percentuale circoscritta, la cui valutazione deve essere effettuata da un neurologo o da un neurochirurgo.
BOX: Il parere dello psichiatra
Esiste una certa diffidenza quando si parla di CFS perché essendo un disturbo insidioso e ambiguo viene sottovalutato o attribuito a ragioni psicologiche, al più noto e accettato stress, sotto il cui cappello tutto si riporta. Talora con un malcelato sospetto che il soggetto in questione cerchi dal medico di ottenere un permesso lavorativo per malattia o che sia lievemente ipocondriaco, o che sia ‘solo stanco’ e quindi non necessiti altro che di riposo, di una pausa. Che abbia problemi di lavoro o familiari che lo sottopongono a tensione e che ad essa possano essere ricondotti i suoi disturbi. Il dilemma è quindi se questa sindrome abbia un valore puramente organico oppure si situi con un novero di sintomi che attraversano sia la parte psicologica che quella somatica dello spettro del comportamento umano.
Ipotesi psicobiologica
Poichè lo stress acuto e quello cronico sono costanti della malattia ( quello acuto come possibile elemento di scatenamento e quello cronico come mantenimento) e dati gli indubbi benefici che la malattia ottiene dalla psicoterapia cognitiva e dalle tecniche di rilassamento, una ipotesi psicobiologica presenta grande fascino. Come in altri casi, ad esempio le malattie autoimmuni, è possibile che nella CFS l’effetto degli ormoni dello stress abbassi le difese immunitarie, consentendo lo sviluppo di reazioni esagerate a stimoli batterici o virali, ma anche alla sollecitazione di sostanze capaci di dare una reazione allergica. Recentemente sono comparse sempre più testimonianze di ricerca che sollecitano il ruolo del cortisolo, ma anche e soprattutto del CRF e degli ormoni che agiscono sul surrene. E’ possibile che il punto debole della catena sia proprio a quel livello,naturalmente con l’interazione determinante e sfavorevole di altri fattori consociati.
Ipotesi psicobiologica
Poichè lo stress acuto e quello cronico sono costanti della malattia ( quello acuto come possibile elemento di scatenamento e quello cronico come mantenimento) e dati gli indubbi benefici che la malattia ottiene dalla psicoterapia cognitiva e dalle tecniche di rilassamento, una ipotesi psicobiologica presenta grande fascino. Come in altri casi, ad esempio le malattie autoimmuni, è possibile che nella CFS l'effetto degli ormoni dello stress abbassi le difese immunitarie, consentendo lo sviluppo di reazioni esagerate a stimoli batterici o virali, ma anche alla sollecitazione di sostanze capaci di dare una reazione allergica. Recentemente sono comparse sempre più testimonianze di ricerca che sollecitano il ruolo del cortisolo, ma anche e soprattutto del CRF e degli ormoni che agiscono sul surrene. E' possibile che il punto debole della catena sia proprio a quel livello,naturalmente con l'interazione determinante e sfavorevole di altri fattori consociati.
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