AMCFS Onlus coglie l’occasione per accendere i riflettori sulla patologia
L’associazione AMCFS Onlus, in occasione della Giornata Mondiale del Malato di CFS, intende far luce sulla sindrome da stanchezza cronica (CFS), o encefalomielite mialgica (ME), una patologia riconosciuta dall’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) che, nel 2014, ha visto la pubblicazione del primo documento italiano d’indirizzo, a cura di AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari di Base).
La CFS è caratterizzata da una costellazione di sintomi invalidanti, di grado più o meno severo, che comprendono febbricola, rigonfiamento o dolenzia dei linfonodi, dolori scheletro-muscolari, problemi di memoria e concentrazione, mal di testa, accompagnati da una spossatezza devastante e ingiustificata che accompagna anche il più banale gesto quotidiano. Situazione, questa, che riduce almeno del 50% le attività occupazionali di chi ne è affetto e che ha durata per lo più cronica, o comunque per parecchi anni, con remissioni e ricadute, più o meno lunghe e violente, per cui non è ancora stato identificato un marcatore diagnostico e per cui non c’è cura specifica.
La terapia è per lo più di tipo sintomatico, varia da caso a caso e, soprattutto, non tutti i malati rispondono in modo soddisfacente alle terapie prescritte. La malattia insorge in genere intorno ai 35 anni, in giovani adulti in età lavorativa, ma sono in aumento le diagnosi in età adolescenziale. Questa peculiarità fa sì che la CFS sia anche un problema sociale, seppur sottostimato e sottovalutato, andando a colpire studenti e lavoratori che rappresentano la parte produttiva del Paese. Malati che spesso, senza i necessari supporti o per la gravità della malattia, sono costretti a interrompere il proprio percorso di studi o lavorativo, con gravi ripercussioni sia sulla vita individuale e familiare che nell’ambito delle relazioni sociali, aspetto ancor troppo poco considerato.
La Giornata Mondiale del Malato di CFS ricorre quest’anno in un periodo particolare, quello della pandemia di COVID-19. Sicuramente, il COVID-19 ha rappresentato e rappresenta un vero e proprio flagello: la patologia è altamente contagiosa e in molti casi si manifesta con effetti invasivi pesanti o anche letali. Ciò nonostante, il COVID-19, e i cambiamenti apportati drasticamente alla vita di tutti, hanno peculiarità simili alla CFS.
Il malato di CFS non è contagioso come il malato di COVID-19, ma suo malgrado si ritrova a vivere comunque isolato, non avendo più le energie per vivere la quotidianità in ambito familiare, lavorativo o scolastico. Nella CFS, la spossatezza, con il suo corollario di sintomi, permane anche una volta che l’episodio scatenante (spesso un’infezione virale) si è risolto.
Lo smarrimento e le ripercussioni psicologiche causate dalla netta interruzione dell’attività lavorativa, scolastica, sociale e familiare, la preoccupazione economica, la paura di perdere il lavoro provate negli ultimi mesi da tutta la popolazione, a causa del lockdown, sono simili a quelle provate e vissute per mesi e anni dai malati di CFS, che essendo dei ‘casi rari’ hanno anche la difficoltà di far recepire le loro problematiche alla società circostante, che spesso non comprende, o neppure si sofferma a cercare di capire queste persone, relegate così in una sorta di ‘dimenticatoio’.
Da ultimo, ma non meno importante, i malati di CFS, come i malati di COVID-19, hanno avuto grandi difficoltà a far comprendere al medico la loro reale situazione, anche se per motivi opposti: la CFS è difficile da diagnosticare in quanto non ci sono a tutt’oggi marker diagnostici specifici; nel caso del COVID-19 perché, per una serie di motivazioni, il paziente si ritrovava a farsi capire mediante visite telefoniche e difficilmente poteva accedere all’esame diagnostico comprovante l’infezione. In entrambi i casi, si sono verificate condizioni che hanno contribuito notevolmente a peggiorare la situazione, sia sul fronte fisico che psicologico, come possono ben dire alcuni malati di CFS che hanno contratto anche il Coronavirus.
I malati di CFS fanno parte delle categorie a rischio nel caso dovessero contrarre il COVID-19, poiché potrebbero accusare una recrudescenza della sintomatologia tipica della CFS. Il gruppo EUROMENE ha infatti pubblicato sul suo sito le raccomandazioni utili per evitare il contagio virale nei malati di CFS.
Il COVID-19, in molti casi, comporta una fatica post-virale che alcuni ricercatori hanno paragonato alla sindrome da fatica cronica, argomento trattato anche su “Focus”. Preso atto della contagiosità elevata del COVID-19 e dei molteplici casi di persone che lo hanno contratto, è chiaro che i casi di fatica post-virale potrebbero raggiungere un numero non trascurabile. Forse, questa ipotesi ha influito sulla scelta unanime degli Eurodeputati che, lo scorso 30 aprile, su richieste avanzate dai pazienti di vari Paesi, accogliendo favorevolmente la collaborazione della COST ACTION (Commissione organizzazione europea di cooperazione) e avendo preso visione della prima ricerca di Economia Sanitaria, fortemente voluta e finanziata da AMCFS Onlus, hanno espresso parere unanime sulla necessità di investire fondi adeguati per la ricerca biomedica a favore della CFS.
La fatica post-virale da COVID-19 e l’abbattimento psicologico che ne consegue possono essere giustificati dalla gravità della malattia, dall’isolamento prolungato sia a domicilio che in ospedale, dalla paura e dall’ansia di contagiare i propri cari e da tutto ciò che ne consegue. Nel caso la situazione dovesse protrarsi oltre, però, AMCFS consiglia di approfondire e valutare il tutto con medici esperti nel trattamento della fatica cronica, mettendo a disposizione l’esperienza maturata in quindici anni di attività a favore di chi lo ritiene utile.
AMCFS non gode di finanziamenti pubblici e può operare grazie al contributo delle quote associative, di piccole donazioni e delle quote provenienti dal 5x1.000 devoluto a suo favore. Pertanto, l’associazione coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che l’hanno sostenuta e proseguiranno o inizieranno a sostenerla in futuro. AMCFS investe i fondi così ottenuti in particolar modo nella ricerca, oltre che nell’informazione e divulgazione delle conoscenze medico-scientifiche. Negli ultimi anni, ad esempio, AMCFS ha promosso e finanziato, con una borsa di studio triennale, un importante progetto di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, in collaborazione con il Laboratorio di Immunologia e Analisi Genetiche dell’Università di Pavia e con il Laboratorio di Genetica Medica Magi EUREGIO di Bolzano. Il lavoro è sfociato in una Tesi di Dottorato dal titolo “Ruolo potenziale del microbioma nella sindrome da affaticamento cronico/encefalomielite mialgica (CFS/ME)”, e ha fornito risultati interessanti che presto verranno pubblicati.