Il Clinical Evidence raccoglie e sintetizza le informazioni basate sulle prove di efficacia e presenta alcune caratteristiche peculiari.
Queste pubblicazioni sono quelle RICONOSCIUTE e divulgate dal Ministro della Salute, è la base dell' informazione medica ufficiale.
Questo documento viene inviato, e a volte non letto, a tutti i Medici, quindi, se volete, stampate e tenete sempre a portata di mano una copia di questa documentazione per "portarla a conoscenza" di chi ignora la CFS o la nega.
Tenete presente che la data di pubblicazione è del 2003 e che molti dati sono del 2002 o antecedenti, dico questo perchè non vi arrabbiate troppo leggendo certe ricerche, magari fatte nel 2000.
Se vi dovesse servire questo documento in formato Word, pdf o qualsiasi altro formato, chiedetemelo e lo mettero' a disposizione.
Prefazione del Clinical Evidence del Ministro della Salute Girolamo Sirchia.
Un approccio (pro)positivo per un’informazione utile ed efficiente
L’aggiornamento professionale è un requisito fondamentale e indispensabile perché si possa assicurare il progresso della medicina e il Ministero della Salute possa essere il «garante» di accesso alla salute per il cittadino. Negli ultimi anni questo bisogno di una formazione efficiente è diventato centrale nei programmi del Ministero della Salute, consolidando attività fino a ieri sperimentali ma che sono ormai nella fase di piena implementazione attraverso la Educazione Continua in Medicina (ECM).
Eppure mai come in questi ultimi tempi, l’informazione scientifica è stata al centro di tante polemiche, aprendo un periodo di diffidenza generale che rischia di minare il rapporto di fiducia tra il cittadino e il sapere biomedico. In questo contesto il Ministero della Salute, oltre a rispettare l’obbligo di una ferma vigilanza, si è fatto promotore di un Manifesto Etico Nazionale, sottoscritto da tutte le parti contraenti, per assicurare un forte radicamento deontologico alla informazione scientifica.
Le nuove tecnologie informatiche creano talora l’illusione di un facile accesso ai dati sulle prove di efficacia, mentre in realtà spesso fungono da effetto moltiplicatore delle tante informazioni che giungono all’operatore sanitario, senza che quest’ultimo abbia gli strumenti per poterne verificare criticamente la attendibilità.
La prima edizione in lingua italiana di Clinical Evidence è stato un utile strumento che orienta il medico nella efficacia degli interventi clinici, senza che ciò significhi la imposizione di protocolli e linee guida calate dall’alto ed elaborate lontano da specifici contesti organizzativi e culturali. Anche in questo ambito il Ministero della Salute si è mosso per gradi, facendo precedere la pubblicazione di Clinical Evidence da una fase sperimentale che servisse da stimolo e allo stesso tempo da test sull’accettazione di questo nuovo strumento di formazione e informazione terapeutica da parte del medico.
In conclusione, questa seconda edizione aggiornata di Clinical Evidence rappresenta un segno concreto di continuità per promuovere la cultura e l’etica dell’assistenza medica, fornendo una informazione scientifica autorevole.
Il Ministro della Salute
Prof. Girolamo Sirchia
La ricerca bibliografica e la valutazione della qualità metodologica degli studi sono state realizzate e aggiornate da Clinical Evidence a novembre 2001.
Definizione:
La sindrome da stanchezza cronica è caratterizzata da stanchezza grave e invalidante associata ad altri sintomi, tra i quali dolori muscolari, disturbi del sonno, mancanza di concentrazione e cefalea. Due definizioni largamente usate per la sindrome da stanchezza cronica, quella dei CDC di Atlanta[1] e quella di Oxford[2] sono state utilizzate come criteri operativi per la ricerca . Ci sono importanti differenze tra le definizioni: i criteri inglesi sottolineano la presenza di stanchezza mentale, mentre quelli statunitensi includono tra i requisiti diversi sintomi fisici, riflettendo la convinzione che la sindrome da stanchezza cronica sia la manifestazione di una patologia immunologica o infettiva sottostante.
Bibliografia
1. Fukuda K, Straus S, Hickie I, et al. The chronic fatigue syndrome: a comprehensive approach to its definition and study. Ann Intern Med 1994;121:953-959.
2. Sharpe M, Archard LC, Banatvala JE. A report - chronic fatigue syndrome: guidelines for research. J R Soc Med 1991;84:118-121.

Messaggi chiave
Cinque studi randomizzati non hanno trovato prove sufficienti a sostegno dell'utilizzo di antidepressivi in soggetti affetti da sindrome da stanchezza cronica.
Quattro studi randomizzati non hanno trovato prove sufficienti per valutare adeguatamente gli effetti dei corticosteroidi nei soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Un piccolo studio randomizzato ha trovato prove limitate a sostegno dell'utilizzo di nicotinamide adenina dinucleotide per bocca in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Studi randomizzati hanno trovato che programmi di esercizio fisico aerobico graduale o interventi educativi per incoraggiare l’esercizio graduale migliorano parametri di valutazione dell'astenia e dell'attività fisica in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Non abbiamo trovato trovate prove affidabili che il riposo prolungato sia un trattamento efficace per la sindrome da stanchezza cronica; prove indirette indicano al contrario che il riposo può avere effetti negativi.
Un piccolo studio randomizzato ha trovato prove limitate di effetti positivi con iniezioni di magnesio in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Un piccolo studio randomizzato non ha trovato prove di effetti positivi dell'olio di semi di Rapunzia per bocca in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Quattro piccoli studi randomizzati sull'uso di immunoglobuline G in soggetti con sindrome da stanchezza cronica hanno riscontrato soltanto scarsi benefici e importanti effetti avversi. Studi randomizzati su altri trattamenti che influenzano il sistema immunitario non hanno trovato prove di effetti positivi rispetto al placebo.
Una revisione sistematica ha trovato che la terapia cognitivo-comportamentale, se gestita da terapeuti esperti in centri specializzati, ha effetti positivi in soggetti con sindrome da stanchezza cronica. Uno studio randomizzato multicentrico successivo ha trovato che la terapia cognitivo-comportamentale può essere efficace anche quando gestita da terapeuti meno esperti.
Incidenza e prevalenza
Studi di comunità e in ambito di medicina di base hanno riportato una prevalenza della sindrome da stanchezza cronica dello 0-3%, a seconda dei criteri utilizzati.[3-4] Indagini sistematiche su popolazioni hanno rilevato una prevalenza analoga di sindrome da stanchezza cronica in soggetti con diversa estrazione socioeconomica e in tutti i gruppi etnici.[4-5]
Bibliografia
3. Wessely S, Chalder T, Hirsch S, et al. The prevalence and morbidity of chronic fatigue and chronic fatigue syndrome: a prospective primary care study. Am J Public Health 1997;87:1449-1455.
4. Steele L, Dobbins JG, Fukuda K, et al. The epidemiology of chronic fatigue in San Francisco. Am J Med 1998;105(suppl 3A):83-90.
5. Lawrie SM, Pelosi AJ. Chronic fatigue syndrome in the community: prevalence and associations. Br J Psychiatry 1995;166:793-797.
Prognosi
Gli studi hanno arruolato soggetti che frequentavano ambulatori specialistici. Una revisione sistematica di studi prognostici (data della ricerca 1996) ha documentato che i bambini con sindrome da stanchezza cronica avevano esiti migliori rispetto agli adulti; nel 54-96% dei bambini si aveva un miglioramento definitivo dopo 6 anni di follow up mentre negli adulti miglioramenti a medio termine si osservavano nel 20-50% dei casi, e solo il 6% ritornava ai livelli di funzionalità precedenti la malattia.[6] Nonostante la considerevole morbilità associata alla sindrome da stanchezza cronica non abbiamo trovato prove di un incremento della mortalità. La revisione ha riportato che gli esiti erano condizionati dalla presenza di disturbi psichiatrici (depressione e ansia) e dai modi di pensare relativamente alle cause e ai possibili trattamenti della malattia.[7]
Bibliografia
6. Wessely S. The epidemiology of chronic fatigue syndrome. Epidemiol Rev 1995;17:139-151.
7. Joyce J, Hotopf M, Wessely S. The prognosis of chronic fatigue and chronic fatigue syndrome: a systematic review. QJM 1997;90:223-133. Search date March 1996; primary sources Medline; Embase; Current Contents; Psyclit.
Finalità dell'intervento
Ridurre i livelli di astenia e i sintomi associati; aumentare i livelli di attività; migliorare la qualità della vita.
Esiti
Gravità dei sintomi e loro effetti sulla funzione fisica e la qualità della vita. Questi sono misurati in molti modi: il questionario SF-36,[8] scala di valutazione che misura la limitazione dell'attività fisica causata da malattia (range di punteggio 0-100, dove 0=limitato in tutte le attività e 100=in grado di svolgere attività intense); l'indice di Karnofsky,[9] una scala originariamente elaborata per la valutazione della qualità della vita nei pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia; la Beck Inventory Scale,[10] un lista di controllo per quantificare i sintomi depressivi; il questionario SIP (Sickness Impact Profile)[11] che misura l'influenza dei sintomi sull'attività comportamentale e fisica; la scala della stanchezza di Chalder,[12] una scala di valutazione della stanchezza soggettiva (punteggio da 0 a 11, dove >=4 indica stanchezza eccessiva); la Clinical Global Impression Scale,[13] una misura validata del cambiamento complessivo rispetto al valore di partenza all’inizio dello studio, con 7 possibili punteggi da “molto peggiorato” (7 punti) a “molto migliorato” (1 punto); e il Nottingham Health Profile,[14] una valutazione soggettiva della gravità dei sintomi e del livello di attività, che contiene domande raggruppate in 6 categorie: energia, percezione del dolore, sonno, senso di isolamento sociale, reazioni emotive, mobilità (il punteggio pesato dà un massimo di 100 punti per risposte affermative a tutte le domande e un minimo di 0 in assenza di disturbi).
Bibliografia
8. Stewart AD, Hays RD, Ware JE. The MOS short-form general health survey. Med Care 1988;26:724-732.
9. Karnofsky DA, Burchenal JH. MacLeod CM, eds. The clinical evaluation of chemotherapeutic agents in cancer. New York Academy of Medicine. New York: Columbia University Press, 1949:191-206.
10. Beck AT, Ward CH, Mendelson M, Mock JE, Erbaugh JK. An inventory for measuring depression. Arch Gen Psychiatry 1961;4:561-571.
11. Bergner M, Bobbit RA, Carter WB, et al. The sickness impact profile: development and final revision of a health status measure. Med Care 1981;19:787-805.
12. Chalder T, Berelowitz C, Pawlikowska T. Development of a fatigue scale. J Psychosom Res 1993;37:147-154.
13. Guy W. ECDEU assessment manual for psychopharmacology. Rockville, MD: National Institute of Mental Health, 1976:218-222.
14. Hunt SM, McEwen J, McKenna SP. Measuring health status: a new tool for clinicians and epidemiologists. J Roy Coll Gen Prac 1985,35:185-188.
QUESITI CLINICI
Quali sono gli effetti dei trattamenti?
INTERVENTI
Utili
Esercizio aerobico graduale
Terapia cognitivo-comportamentale
Di utilità non determinata
Antidepressivi
Corticosteroidi
Nicotinamide adenina dinucleotide per bocca
Magnesio per via intramuscolare
Olio di semi di Rapunzia
Di utilità discutibile
Riposo prolungato
Immunoterapia
Antidepressivi
Studi randomizzati hanno trovato prove insufficienti sull'utilizzo di antidepressivi in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] Fluoxetina: La revisione ha individuato 2 studi randomizzati.[16-17] Il primo (107 soggetti depressi e non depressi con sindrome da stanchezza cronica) non ha rilevato differenze significative tra fluoxetina e placebo dopo un trattamento di 8 settimane (differenza media tra fluoxetina e placebo in base alla Back Inventory Scale -0,19, limiti di confidenza al 95% da -0,35 a -0,02; differenza media tra fluoxetina e placebo in base a una subscala della Checklist Individual Strength -0,16, limiti di confidenza al 95% da -0,64 a +0,31).[16,18] Il secondo studio (136 soggetti) ha confrontato 4 interventi: fluoxetina più esercizio graduale; placebo più esercizio graduale; fluoxetina più consigli generali per incoraggiare l'esercizio e placebo più consigli generali per incoraggiare l'esercizio. Non è emersa alcuna differenza significativa nel livello di stanchezza, sebbene ci fossero modesti miglioramenti nelle misure relative alla depressione a 12 settimane (scala Hospital Anxiety and Depression, variazione media 1,1, limiti di confidenza al 95% da 0,03 a 2,2).[17,19] Fenelzina: Uno studio randomizzato incluso nella revisione (30 soggetti con sindrome da stanchezza cronica) ha confrontato fenelzina e placebo usando la scala di Karnofsky modificata e altre misure di esito (incluso un questionario sullo stato funzionale, un profilo del tono dell’umore, l’indice di gravità della stanchezza dei CDC di Atlanta e una lista di controllo della gravità dei sintomi).[19-20] Lo studio ha concluso che l'uso di fenelzina era associato al miglioramento di molti parametri (non sono stati condotti test di significatività per singole valutazioni). Moclobemide: La revisione ha identificato uno studio randomizzato ma non ha riportato risultati quantitativi.[15,21] Lo studio (90 soggetti con sindrome da stanchezza cronica) ha confrontato moclobemide (450-600 mg al giorno) e placebo.[21] La moclobemide era associata a un aumento non significativo del miglioramento globale riportato soggettivamente (24/47 con moclobemide, 51%, vs 14/43 con placebo, 33%; odds ratio 2,16, limiti di confidenza al 95% da 0,9 a 5,1) e a un miglioramento non significativo dell’indice di Karnofsky valutato dal medico. Sertralina vs clomipramina: Uno studio randomizzato non ha rilevato differenze significative tra sertralina e clomipramina in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.[22] In assenza di confronti con placebo è difficile trarre conclusioni utili.
EFFETTI NEGATIVI Fluoxetina: Uno studio ha valutato separatamente i sintomi (che potevano essere attribuiti alla sindrome da stanchezza cronica o ad altri effetti avversi noti della fluoxetina) prima di iniziare il trattamento, dopo 2 e 6 settimane e alla fine del trattamento (8 settimane). Lo studio ha trovato che un numero maggiore di soggetti trattati con fluoxetina a 8 settimane lamentava tremore e sudorazione (tremore: P=0,008).[16] Non sono emerse differenze significative tra fluoxetina e placebo a 2 e 6 settimane. Un numero maggiore di soggetti trattati con fluoxetina ha abbandonato lo studio a causa di effetti avversi (9/54, 17%, vs 2/53 con placebo, 4%).[16] Anche il secondo studio ha riportato più abbandoni nel gruppo in trattamento con fluoxetina (24/68, 36%, vs 16/69 con placebo, 24%).[17] Fenelzina: Tre soggetti tra i 15 che assumevano fenelzina (20%) hanno abbandonato il trattamento a causa di effetti avversi; nel gruppo placebo nessuno ha abbandonato lo studio.[20] Sertralina vs clomipramina: Lo studio non ha fornito informazioni sugli effetti avversi.[22]
COMMENTO Va sottolineato che gli studi descritti sono stati condotti in ambulatori specialistici. Fluoxetina: Il primo studio[16] ha utilizzato trattamenti più brevi e in soggetti con malattia di più lunga data.[17]
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
16. Vercoulen J, Swanink C, Zitman F. Randomised, double-blind, placebo-controlled study of fluoxetine in chronic fatigue syndrome. Lancet 1996;347:858-861.
17. Wearden AJ, Morriss RK, Mullis R, et al. Randomised, double-blind, placebo controlled treatment trial of fluoxetine and a graded exercise programme for chronic fatigue syndrome. Br J Psychiatry 1998;172:485-490.
18. Vercoulen JHMM, Swanink CMA, Galama JMD, Fennis JFM, van der Meer JWM, Bleijenberg G. Dimensional assessment of chronic fatigue syndrome. J Psychosom Res 1994;38:383-392.
19. Zigmond AS, Snaith RP. The Hospital Anxiety and Depression Scale (HAD). Acta Psychiatr Scand 1983;67:361-370.
20. Natelson BH, Cheu J, Pareja J, et al. Randomised, double blind, controlled placebo-phase in trial of low dose phenelzine in the chronic fatigue syndrome. Psychopharmacology 1996;124:226-230.
21. Hickie IB, Wilson AJ, Murray Wright J, Bennett BK, Wakefield D, Lloyd AR. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial of moclobemide in patients with chronic fatigue syndrome. J Clin Psychiatry 2000;61:643-648.
22. Behan PO, Hannifah H. 5-HT reuptake inhibitors in CFS. J Immunol Immunopharmacol 1995;15:66-69.
Corticosteroidi
Quattro studi randomizzati non hanno trovato prove sufficienti sugli effetti dei corticosteroidi in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] Fludrocortisone: La revisione ha individuato 2 studi randomizzati.[23-24] Il primo (100 soggetti con sindrome da stanchezza cronica e ipotensione autonomica) ha confrontato fludrocortisone (0,1 mg al giorno) e placebo per 9 settimane. Non sono emerse differenze significative in base a una scala di autovalutazione del benessere (miglioramento registrato >=15 punti: 14% con fludrocortisone vs 10% con placebo; P=0,76; dati grezzi non riportati).[23] Il secondo studio (crossover, 20 soggetti), che ha valutato le variazioni della gravità dei sintomi (scala analogica visiva dei sintomi 0-10: da “nessun problema” a “non potrebbe essere peggio”) e lo stato di attività (utilizzando l'SF-36) per 6 settimane, non ha riscontrato differenze significative tra fludrocortisone e placebo.[24] Idrocortisone: La revisione ha individuato 2 studi randomizzati.[25-26] Il primo (65 soggetti), che ha confrontato idrocortisone (25-35 mg al giorno) e placebo per 12 settimane, ha riscontrato nel gruppo di trattamento un miglioramento netto su una scala individuale di valutazione del benessere (miglioramento registrato >=5 punti: 53% con idrocortisone vs 29% con placebo, P=0,04). Altre scale di valutazione non hanno mostrato effetti positivi (Beck Inventory Scale: -2,1 vs -0,4, P=0,17; scala di attività: 0,3 vs 0,7, P=0,32; SIP: -2,5 vs -2,2, P=0,85).[25] Il secondo studio (crossover, 32 soggetti) ha confrontato un dosaggio più basso di idrocortisone (5 o 10 mg al giorno) con placebo per un mese. Un numero maggiore di partecipanti presentava una riduzione della stanchezza a breve termine (scala di autovalutazione della stanchezza: 28% con idrocortisone vs 9% con placebo; non sono stati riportati i risultati precedenti al crossover).[26]
EFFETTI NEGATIVI Fludrocortisone: Nel primo studio nel gruppo del fludrocortisone si sono verificati più abbandoni a causa di eventi avversi (12/50, 24% vs 4/50, 8%; rischio relativo 3, limiti di confidenza al 95% da 1,04 a 8,67; numero di casi da trattare 6, limiti di confidenza al 95% da 3 a 8).[23] Quattro soggetti hanno abbandonato lo studio a causa di un peggioramento dei sintomi.[24] Idrocortisone: Uno studio (idrocortisone 25-35 mg al giorno) ha osservato in 12 soggetti (40%) una soppressione adrenergica (valutata con misurazioni dei livelli di cortisolo).[25] L'altro studio (idrocortisone 5 o 10 mg al giorno) ha riscontrato lievi effetti avversi nel 10% dei soggetti. In tre soggetti che assumevano idrocortisone si è verificato un peggioramento dell’acne e del nervosismo, mentre un soggetto nel gruppo placebo ha avuto una sincope.[26]
COMMENTO Gli studi utilizzavano motivazioni differenti per giustificare la scelta del trattamento attivo. L'uso di fludrocortisone, un mineralcorticoide, si basava sul presupposto che la sindrome da stanchezza cronica sia associata a ipotensione di origine neurologica.[27] Negli altri studi l'utilizzo di idrocortisone, un glucocorticoide, era basato sull'osservazione che in alcuni soggetti con sindrome da stanchezza cronica è descritta una diminuita attività dell'asse ipotalamo-ipofisario-corticosurrenale.[28] Qualsiasi effetto positivo derivante dai glucocorticoidi a basse dosi sembra essere di breve durata, mentre dosi maggiori sono associate a effetti avversi.
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
23. Rowe PC, Calkins H, DeBusk K, et al. Fludrocortisone acetate to treat neurally mediated hypotension in chronic fatigue syndrome. JAMA 2001;285:52-59.
24. Peterson PK, Pheley A, Schroeppel J, et al. A preliminary placebo-controlled crossover trial of fludrocortisone for chronic fatigue syndrome. Arch Intern Med 1998;158:908-914.
25. McKenzie R, O'Fallon A, Dale J, et al. Low-dose hydrocortisone for treatment of chronic fatigue syndrome. JAMA 1998;280:1061-1066.
26. Cleare AJ, Heap E, Malhi G, et al. Low-dose hydrocortisone in chronic fatigue syndrome: a randomised crossover trial. Lancet 1999;353:455-458.
27. Bou-Holaigah I, Rowe P, Kan J, et al. The relationship between neurally mediated hypotension and the chronic fatigue syndrome. JAMA 1995;274:961-967.
28. Demitrack M, Dale J, Straus S, et al. Evidence for impaired activation of the hypothalamic-pituitary-adrenal axis in patients with chronic fatigue syndrome. J Clin Endocrinol Metab 1991;73:1224-1234.
Nicotinamide adenina dinucleotide per bocca
Un piccolo studio randomizzato ha trovato prove insufficienti a sostegno dell'utilizzo di nicotinamide adenina dinucleotide per bocca in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] La revisione ha individuato uno studio randomizzato con disegno crossover di scarsa qualità (35 soggetti), che ha confrontato nicotinamide adenina dinucleotide (10 mg al giorno) e placebo per 4 settimane.[29] Dei 35 partecipanti allo studio 2 sono stati esclusi per mancata aderenza al trattamento e altri 7 perché assumevano farmaci psicotropi. Lo studio ha riscontrato un miglioramento soggettivo significativo, valutato con una scala per i sintomi di 50 voci, con la nicotinamide adenina dinucleotide (8/26 soggetti hanno raggiunto un miglioramento pari al 10% con nicotinamide, 30%, vs 2/26 con placebo, 8%; P<0,05, calcolata dagli autori).
EFFETTI NEGATIVI Effetti avversi minori (perdita dell'appetito, dispepsia, flatulenza) sono stati riferiti durante il trattamento ma non hanno indotto la sospensione della terapia.[29]
COMMENTO Lo studio aveva numerosi difetti metodologici, incluso l’utilizzo di analisi statistiche non appropriate, l’esclusione non corretta di soggetti dall’analisi e la mancanza di dati numerici, che rende impossibile un'analisi indipendente dei risultati pubblicati.[30]
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
29. Forsyth LM, Preuss HG, MacDowell AL, et al. Therapeutic effects of oral NADH on the symptoms of patients with chronic fatigue syndrome. Ann Allergy Asthma Immunol 1999;82:185-191.
30. Colquhoun D, Senn S. Re: Therapeutic effects of oral NADH on the symptoms of patients with chronic fatigue syndrome. Ann Allergy Asthma Immunol 2000;84:639-640.
Esercizio fisico
Studi randomizzati hanno trovato che un programma di esercizio aerobico graduale o interventi educativi per incoraggiare l’esercizio graduale migliorano parametri di valutazione dell'astenia e dell'attività fisica in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] Esercizio aerobico: La revisione ha identificato 2 studi randomizzati.[15,17,31] Uno studio (66 soggetti) ha messo a confronto esercizio aerobico graduale (trattamento attivo) e allenamento alla distensione e al rilasciamento muscolare (trattamento di controllo) per un periodo di 12 settimane.[31] Tutti i soggetti reclutati hanno partecipato a sessioni individuali settimanali con la supervisione di un fisiologo dello sport. I soggetti del gruppo di trattamento (esercizio aerobico) hanno portato il proprio livello di attività a 30 minuti al giorno (camminando, andando in bicicletta o nuotando con un dispendio massimo di energia pari al 60% del consumo massimo di ossigeno, VO2 max). Ai soggetti del gruppo di controllo sono state insegnate tecniche di stretching e rilassamento ed è stato raccomandato di evitare qualsiasi altra attività fisica. Lo studio ha trovato che più partecipanti nel gruppo dell'esercizio aerobico riferivano di sentirsi meglio o molto meglio e riportavano un miglioramento riguardo alla stanchezza e all'attività fisica rispetto al gruppo di controllo (punteggio di impressione clinica globale: 52% vs 27%, P=0,04; scala della stanchezza di Chalder: -8,4 vs -3,1, P=0,004; scala SF-36: 20,5 vs 8,0, P=0,01). Il gruppo di controllo è stato poi incrociato con il gruppo dell'esercizio aerobico, e al termine dello studio si sono osservati miglioramenti significativi rispetto al livello di partenza (consumo massimo di ossigeno P<0,0001; attività fisica P=0,002 rispetto ai valori di partenza). Il secondo studio (136 soggetti) ha confrontato 4 interventi in un periodo di 24 settimane: esercizio aerobico graduale più fluoxetina, esercizio aerobico graduale più placebo, consigli generali più fluoxetina e consigli generali più placebo.[17] Al gruppo dell’esercizio graduale è stato consigliato di eseguire gli esercizi aerobici preferiti (per esempio camminare, fare jogging, nuotare o andare in bicicletta) 3 volte alla settimana per 20 minuti fino a un dispendio massimo di energia pari al 75% di VO2 max. Ai gruppi degli esercizi generali (esercizi placebo) non sono state fatte raccomandazioni specifiche riguardo alla frequenza, all’intensità e alla durata dell’attività aerobica che avrebbero dovuto eseguire. Alla ventiseiesima settimana un numero minore di soggetti lamentava stanchezza nei gruppi degli esercizi graduali rispetto ai gruppi dei consigli generali (scala della stanchezza di Chalder <4: 12/67, 8%, vs 4/69, 6%; rischio relativo 3,1, limiti di confidenza al 95% da 1,05 a 9,10; numero di casi da trattare 9, limiti di confidenza al 95% da 5 a 91). Interventi educativi: La revisione ha individuato uno studio randomizzato (148 soggetti), ma non ha riportato risultati quantitativi.[15,32] Lo studio ha confrontato 3 interventi educativi per incoraggiare un esercizio graduale rispetto a sole informazioni fornite per iscritto (gruppo di controllo).[32] I partecipanti nei gruppi degli interventi educativi hanno ricevuto 2 sessioni di trattamento, 2 follow up telefonici e un pacchetto informativo che forniva una spiegazione dei sintomi e incoraggiava gli esercizi a domicilio. Un gruppo ha ricevuto 7 follow up telefonici addizionali e un altro 7 sessioni “faccia a faccia” per 4 mesi. I soggetti nel gruppo delle informazioni scritte hanno ricevuto un manuale di consigli e informazioni che invitava all’attività graduale ma non dava spiegazioni riguardo ai sintomi. Nei soggetti che avevano ricevuto un intervento educativo si sono riscontrati miglioramenti in termini di attività fisica, affaticabilità, umore, sonno e disabilità (riportati dai partecipanti) rispetto ai soggetti che avevano ricevuto solo informazioni scritte. Non si sono rilevate differenze significative tra i vari tipi di interventi educativi (media dei gruppi con interventi educativi rispetto al gruppo con informazioni scritte, subscala SF-36, >=25 o aumento >=10 un anno dopo la randomizzazione: 69% vs 6%, P<0,001; scala della stanchezza di Chalder: 3 vs 10, P<0,001; Hospital Anxiety and Depression Scale: 4 vs 10, P<0,001; ansia 7 vs 10, P<0,01).
EFFETTI NEGATIVI Nessuno degli studi descritti ha riportato effetti avversi; non abbiamo trovato prove che l'esercizio fisico possa essere nocivo in soggetti con sindrome da stanchezza cronica. Nel secondo studio sull’esercizio aerobico il numero di abbandoni era maggiore nel gruppo con esercizio, ma la differenza non era significativa (25/68 con esercizio, 37%, vs 15/69 senza esercizio, 22%; rischio relativo 1,7, limiti di confidenza al 95% da 0,98 a 2,9).[17] I motivi degli abbandoni nei gruppi di esercizio graduale non sono stati specificati.
COMMENTO L'esperienza indica che i sintomi della sindrome da stanchezza cronica possono essere aggravati da tentativi di esercizio fisico troppo vigorosi o affrettati.
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
17. Wearden AJ, Morriss RK, Mullis R, et al. Randomised, double-blind, placebo controlled treatment trial of fluoxetine and a graded exercise programme for chronic fatigue syndrome. Br J Psychiatry 1998;172:485-490.
31. Fulcher KY, White PD. A randomised controlled trial of graded exercise therapy in patients with the chronic fatigue syndrome. BMJ 1997;314:1647-1652.
32. Powell P, Bentall RP, Nye FJ, Edwards RHT. Randomised controlled trial of patient education to encourage graded exercise in chronic fatigue syndrome. BMJ 2001;322:387-390.
Riposo prolungato
Non abbiamo trovato prove di buona qualità metodologica che il riposo prolungato sia un trattamento efficace per la sindrome da stanchezza cronica. Al contrario, prove indirette indicano che il riposo prolungato può essere nocivo.
EFFETTI POSITIVI Non abbiamo trovato revisioni sistematiche o studi randomizzati sul riposo prolungato in soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
EFFETTI NEGATIVI Non abbiamo trovato prove dirette di effetti negativi dovuti al riposo in soggetti con sindrome da stanchezza cronica. Studi osservazionali indicano che la prolungata inattività può perpetuare o peggiorare la stanchezza e sintomi associati in volontari sani[33] o in soggetti convalescenti dopo malattie virali.[34]
COMMENTO Non è chiaro se i dati ottenuti in soggetti reduci da malattie virali possano essere estesi a soggetti con sindrome da stanchezza cronica.
Bibliografia
33. Sandler H, Vernikos J. Inactivity: physiological effects. London: Academic Press, 1986.
34. Dalrymple W. Infectious mononucleosis: 2. Relation of bed rest and activity to prognosis. Postgrad Med 1961;35:345-349.
Integrazione di magnesio
Un piccolo studio randomizzato ha trovato prove limitate di benefici con la somministrazione intramuscolare di magnesio.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] La revisione ha individuato uno studio randomizzato (32 soggetti con sindrome da stanchezza cronica) che ha confrontato iniezioni settimanali intramuscolari di magnesio solfato al 50% e placebo (iniezioni di acqua) per un periodo di 6 settimane.[35] Lo studio ha trovato che la somministrazione di magnesio era associata a effetti positivi in termini di valutazione del beneficio complessivo (12/15, 80%, vs 3/17, 18%; rischio relativo 4,5, limiti di confidenza al 95% da 1,6 a 13,1; numero di casi da trattare 2, limiti di confidenza al 95% da 2 a 4), energia (P=0,002), dolore (P=0,001) e reazioni emotive (P=0,013).
EFFETTI NEGATIVI Lo studio non ha riportato effetti avversi.
COMMENTO Studi successivi non sono stati in grado di dimostrare un deficit di magnesio nei soggetti con sindrome da stanchezza cronica.[36-38] Nello studio descritto solo la concentrazione eritrocitaria di magnesio era leggermente inferiore rispetto alla norma. In 3 studi successivi il livello di magnesio era normale e non era diverso dai controlli. Tuttavia nessuno degli studi ha specificato come sono stati definiti i valori normali, per cui è difficile stabilire se i risultati ottenuti sono equivalenti.
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
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36. Clague JE, Edwards RHT, Jackson MJ. Intravenous magnesium loading in chronic fatigue syndrome. Lancet 1992;340:124-125.
37. Hinds G, Bell NP, McMaster D, et al. Normal red cell magnesium concentrations and magnesium loading tests in patients with chronic fatigue syndrome. Ann Clin Biochem 1994;31:459-461.
38. Swanink CM, Vercoulen JH, Bleijenberg G, et al. Chronic fatigue syndrome: a clinical and laboratory study with a well matched control group. J Intern Med 1995;237:499-506.
Olio di semi di Rapunzia
Un piccolo studio randomizzato non ha riscontrato effetti positivi dell’olio di semi di Rapunzia.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] La revisione ha individuato uno studio randomizzato (50 soggetti con sindrome da stanchezza cronica definita secondo i criteri diagnostici di Oxford) che ha confrontato olio di semi di Rapunzia (4 g al giorno per bocca) e placebo per 3 mesi.[39] Lo studio non ha riscontrato differenze significative in termini di depressione (punteggi alla Beck Inventory Scale), sintomi fisici o valutazione dei pazienti (soggetti migliorati a 3 mesi: 46% con placebo vs 29% con olio di semi di Rapunzia, P=0,09; i valori non sono stati presentati in modo da poter calcolare il rischio relativo e i limiti di confidenza).
EFFETTI NEGATIVI Lo studio non ha riportato effetti avversi.
COMMENTO Uno studio randomizzato (63 soggetti) ha confrontato olio di semi di Rapunzia (4 g al giorno per bocca) e placebo in soggetti con diagnosi di sindrome da stanchezza cronica post virale.[40] La diagnosi è stata fatta sulla base di stanchezza opprimente, mialgie e depressione presenti da almeno un anno e tutte precedute da sindrome febbrile. Dopo 3 mesi 33/39 soggetti (85%) in trattamento attivo avevano ottenuto un beneficio significativo (P<0,0001) rispetto a 4/24 tra coloro che assumevano placebo (17%). La differenza nei risultati potrebbe essere giustificata in parte dai criteri di selezione dei partecipanti; lo studio nei soggetti con sindrome da stanchezza cronica ha utilizzato criteri diagnostici universalmente accettati.[39] Inoltre, mentre in questo studio è stata utilizzata paraffina liquida come placebo,[40] lo studio sui soggetti con sindrome da stanchezza cronica ha utilizzato olio di girasole, meglio tollerato e meno in grado di compromettere la risposta al placebo.[39]
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
39. Warren G, McKendrick M, Peet M. The role of essential fatty acids in chronic fatigue syndrome. Acta Neurol Scand 1999;99:112-116.
40. Behan PO, Behan WMH, Horrobin D. Effect of high doses of essential fatty acids on the postviral fatigue syndrome. Acta Neurol Scand 1990;82:209-216.
Immunoterapia
Quattro piccoli studi randomizzati sull'impiego di immunoglobuline G in soggetti con sindrome da stanchezza cronica hanno rilevato scarsi benefici e notevoli effetti avversi. Studi randomizzati su altri trattamenti con effetti sul sistema immunitario non hanno rilevato alcun effetto positivo rispetto al placebo.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato una revisione sistematica (data della ricerca 2000) che non ha riportato risultati quantitativi.[15] Immunoglobuline G: La revisione ha individuato 4 studi randomizzati rilevanti che hanno confrontato immunoglubuline G e placebo per 6 mesi.[41-44] Nel primo studio a 30 soggetti sono stati somministrati immunoglobuline G (1 g/kg) per via endovenosa oppure albumina (placebo).[41] Dopo 6 mesi non sono state dimostrate grandi differenze nella valutazione della stanchezza (gravità dei sintomi riportata dagli stessi soggetti) o dell'attività fisica o sociale (SF-36). E’ stato osservato un miglioramento significativo nell’attività sociale con il placebo rispetto alle immunoglubuline G (dati dicotomici non riportati). Il secondo studio (49 soggetti) ha confrontato somministrazioni mensili per via endovenosa di immunoglobuline G (2 g/kg) o placebo (una soluzione di maltosio) per 3 mesi.[42] Un numero maggiore di soggetti che avevano ricevuto immunoglobuline G presentava miglioramenti in termini di sintomatologia e disabilità valutate dal medico (10/23, 44%, vs 3/26, 11%; P=0,03). Il terzo studio (99 adulti) ha confrontato con placebo 3 dosi di immunoglobuline G (0,5, 1, 2 g/kg).[43] Lo studio non ha rilevato differenze significative in termini di qualità della vita, punteggi su scale analogiche visive o cambiamenti nelle ore impiegate in attività non sedentarie. Il quarto studio ha confrontato immunoglobuline G (1 g/kg) e placebo in 71 adolescenti tra gli 11 e i 18 anni.[44] Sono state somministrate 3 infusioni con cadenza mensile. E' emersa una differenza significativa fra il gruppo in trattamento attivo e quello di controllo riguardo all'attività valutata considerando la media delle valutazioni cliniche di 4 diverse aree di attività dei pazienti (numero dei soggetti che presentavano un miglioramento >=25% a 6 mesi: 26/36 con immunoglobuline, 52%, vs 15/34 con placebo, 31%; rischio relativo 1,6, limiti di confidenza al 95% da 1,1 a 2,5). Entrambi i gruppi hanno tuttavia mostrato significativi miglioramenti rispetto alla situazione di partenza nella valutazione 6 mesi dopo il trattamento. Altri trattamenti: La revisione ha identificato 2 studi randomizzati (30 soggetti) che hanno confrontato interferone alfa e placebo.[45-46] Il primo studio ha osservato benefici del trattamento solo in un sottogruppo di soggetti con una disfunzione dei linfociti natural killer.[45] Il secondo studio, con disegno crossover, non ha presentato i risultati in modo da consentire una chiara interpretazione degli effetti del trattamento.[46] Altri studi randomizzati non hanno riscontrato vantaggi significativi con aciclovir,[47] estratti leucocitari dializzabili (utilizzando un disegno fattoriale con terapia cognitivo-comportamentale)[48] o terfenadina.[49]
EFFETTI NEGATIVI Immunoglobuline G: Nel primo studio gli effetti negativi giudicati peggiori dei sintomi pre trattamento in entrambi i gruppi comprendevano disturbi gastrointestinali (18 soggetti), emicrania (23 soggetti), artralgie (6 soggetti) e aumento della stanchezza. Di questi solo l'emicrania differiva significativamente tra i gruppi (14/15 con immunoglobuline G, 93%, vs 9/15 con placebo, 60%). Effetti avversi giudicati rilevanti si sono manifestati in 6 soggetti (3 con immunoglobuline G, 3 con placebo). Solo per l'emicrania sono stati specificati i casi osservati in ciascun gruppo di trattamento.[41] Altri trattamenti: Nello studio che ha valutato l’interferone alfa 2/13 soggetti in trattamento attivo (15%) hanno sviluppato neutropenia.[45]
COMMENTO Immunoglubuline G: Le differenza tra i 2 studi erano che il secondo ha utilizzato una dose doppia di immunoglubuline G, non ha incluso soltanto soggetti che rispondevano ai criteri operativi (simili ma non identici ai criteri dei CDC di Atlanta) per la sindrome da stanchezza cronica e non ha effettuato valutazioni intermedie nel corso dello studio ma solo a 3 mesi dal termine.[42] Altri trattamenti: La terfenadina, soprattutto a concentrazioni elevate, è raramente associata a gravi aritmie cardiache.[50]
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
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43. Vollmer-Conna U, Hickie I, Hadzi-Pavlovic D, et al. Intravenous immunoglobulin is ineffective in the treatment of patients with chronic fatigue syndrome. Am J Med 1997;103:38-43.
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49. Steinberg P, McNutt BE, Marshall P, et al. Double-blind placebo-controlled study of efficacy of oral terfenadine in the treatment of chronic fatigue syndrome. J Allergy Clin Immunol 1996;97:119-126.
50. Medicines Control Agency (UK). Current Problems in Pharmacovigilance, Volume 23, September 1997.
Terapia cognitivo-comportamentale
Una revisione sistematica ha trovato che la terapia cognitivo-comportamentale gestita da terapeuti esperti in centri specializzati è efficace nei soggetti con sindrome da stanchezza cronica. Uno studio multicentrico ha riportato che la terapia cognitivo-comportamentale può avere effetti positivi anche se gestita da terapeuti meno esperti.
EFFETTI POSITIVI Abbiamo trovato 2 revisioni sistematiche (data della ricerca 2000 e 1998).[15,51] La prima[51] ha individuato 3 studi randomizzati che rispondevano ai criteri di inclusione dei revisori (tutti i soggetti soddisfacevano i criteri per la diagnosi di sindrome da stanchezza cronica, la randomizzazione e i controlli erano adeguati).[48,52-53] La seconda revisione ha identificato un altro studio randomizzato che rispondeva ai nostri criteri di inclusione, ma non riportava risultati quantitativi.[16,54] Il primo studio (90 soggetti con sindrome da stanchezza cronica) ha applicato i criteri diagnostici australiani, simili a quelli dei CDC di Atlanta, e ha valutato terapia cognitivo-comportamentale e immunoterapia (estratto leucocitario dializzabile) utilizzando un disegno fattoriale.[48] Il gruppo di controllo ha ricevuto cure mediche standard. Utilizzando la scala di Karnofsky e una scala analogica visiva di valutazione dei sintomi non sono state riscontrate differenze significative nella qualità della vita tra terapia cognitivo-comportamentale e cure mediche standard. La terapia comportamentale è stata condotta ogni 2 settimane per un totale di 6 sedute di 30-60 minuti ognuna. Il trattamento includeva l'incoraggiamento dei partecipanti a esercitarsi a domicilio e a sentirsi meno bisognosi di aiuto. Il secondo studio (60 soggetti) ha applicato i criteri di diagnosi di Oxford e ha confrontato terapia cognitivo-comportamentale e cure mediche generiche, impiegate normalmente a livello ambulatoriale.[53] Dopo 12 mesi la terapia cognitivo-comportamentale migliorava la qualità della vita (scala di Karnofsky) rispetto alle cure mediche standard (punteggio finale >80 22/30 con terapia cognitivo-comportamentale, 73%, vs 8/30, 27%; rischio relativo 2,75, limiti di confidenza al 95% da 1,54 a 5,32; numero di casi da trattare 3, limiti di confidenza al 95% da 2 a 5). Il trattamento attivo prevedeva una valutazione comportamentale cognitiva seguita da 16 sedute settimanali di esperimenti comportamentali, problem solving e rivalutazione di pensieri e pregiudizi che impedivano il ritorno alla funzionalità normale. Il terzo studio (60 soggetti con sindrome da stanchezza cronica secondo i criteri di Atlanta in cura presso centri di secondo livello) ha confrontato la terapia cognitivo-comportamentale con un trattamento di rilassamento.[52] Lo studio ha riscontrato un miglioramento sostanziale nell'attività fisica (basata su aumenti assoluti o relativi predefiniti nel punteggio SF-36) con la terapia cognitivo-comportamentale (19/30 con terapia cognitivo-comportamentale, 63%, vs 5/30 con rilassamento, 17%; rischio relativo 3,7, limiti di confidenza al 95% da 2,37 a 6,31; numero di casi da trattare 3, limiti di confidenza al 95% da 1 a 7). I miglioramenti erano mantenuti nei 7-12 mesi di follow up. La terapia cognitivo-comportamentale si svolgeva in sessioni di 13 settimane. Uno studio di follow up della durata di 5 anni su 53 dei partecipanti originali (88%) ha trovato che un numero maggiore di soggetti ritenevano di essere migliorati "molto" o "moltissimo" con la terapia cognitivo-comportamentale (17/25 con terapia cognitivo-comportamentale, 68%, vs 10/28 con rilassamento, 36%; rischio relativo 1,9, limiti di confidenza al 95% da 1,1 a 3,4; numero di casi da trattare 4, limiti di confidenza al 95% da 2 a 19).[55] Un numero maggiore di soggetti nel gruppo della terapia cognitivo-comportamentale rispondeva ai criteri di inclusione dei revisori per una guarigione completa a 5 anni, ma la differenza non era significativa (17/31 con terapia cognitivo-comportamentale, 55%, vs 7/22 con rilassamento, 32%; rischio relativo 1,7, limiti di confidenza al 95% da 0,9 a 3,4). Uno studio randomizzato successivo multicentrico (278 soggetti con con sindrome da stanchezza cronica secondo i criteri dei CDC di Atlanta) ha confrontato terapia cognitivo-comportamentale, gruppi di supporto guidato e nessun intervento.[54] La terapia cognitivo-comportamentale prevedeva 16 sessioni in un periodo di 8 mesi, gestite da 13 terapeuti senza precedente esperienza nel trattamento della sindrome da stanchezza cronica. I gruppi di supporto guidato erano simili alla terapia cognitivo-comportamentale in termini di programma di trattamento; i partecipanti ricevevano un supporto non direttivo da un assistente sociale. Dopo un follow up di 8 mesi un numero maggiore di soggetti trattati con terapia cognitivo-comportamentale rispondeva ai criteri per il miglioramento clinico della gravità della stanchezza (in base a una scala di controllo della forza individuale) e per i miglioramenti riportati dai partecipanti (gravità della stanchezza: 27/83 con terapia cognitivo-comportamentale, 33%, vs 10/80 con interventi di supporto, 13%; rischio relativo 2,6, limiti di confidenza al 95% da 1,3 a 5,0; 27/83 con terapia cognitivo-comportamentale, 33%, vs 8/62 senza interventi, 13%; rischio relativo 2,5, limiti di confidenza al 95% da 1,2 a 5,2; miglioramenti riportati dai partecipanti: 42/74 con terapia cognitivo-comportamentale, 57%, vs 12/71 con interventi di supporto, 17%; rischio relativo 3,4, limiti di confidenza al 95% da 1,9 a 5,8; 42/74 con terapia cognitivo-comportamentale, 57%, vs 23/78 senza interventi, 30%; rischio relativo 1,9, limiti di confidenza al 95% da 1,3 a 2,9). I risultati non sono stati corretti per confronti multipli.
EFFETTI NEGATIVI Non sono stati riportati effetti negativi.
COMMENTO L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale per la sindrome da stanchezza cronica in contesti non specialistici è stata messa in discussione. I risultati dello studio multicentrico suggeriscono che la terapia cognitivo-comportamentale può essere efficace anche se gestita da terapeuti poco esperti che abbiano ricevuto una supervisione adeguata. Lo studio ha avuto un alto tasso di abbandoni (25% dopo 8 mesi), specialmente nei gruppi della terapia cognitivo-comportamentale e del supporto guidato. Sebbene i limiti di confidenza presentati non siano corretti per i confronti multipli, i risultati rimarrebbero significativi dopo qualsiasi ragionevole correzione. Gli autori commentano che dopo l'analisi condotta secondo il principio della intenzione al trattamento i dati erano simili, tuttavia tali risultati non sono stati presentati.[54] Uno studio randomizzato di confronto fra terapia cognitivo-comportamentale e counselling non direttivo ha trovato che entrambi gli interventi miglioravano la gestione dei soggetti che si recavano dall proprio medico di famiglia per sintomi di stanchezza. In questo studio il 28% del campione soddisfaceva i criteri dei CDC di Atlanta per la sindrome da stanchezza cronica.[56]
Bibliografia
15. Whiting P, Bagnall A-M, Sowden A, et al. Interventions for the treatment and management of chronic fatigue syndrome: A systematic review. JAMA 2001;286:1360-1368. Search date 2000; primary sources Medline, Embase, Psychlit, ERIC, Current Contents, Internet searches, bibliographies from the retrieved references, individuals and organisations through a web site dedicated to the review, and members of advisory panels.
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Va ricordato che è ancora confusa la classificazione in Italia della CFS, nonostante sia inserita nell' ICD-9 CM con il codice:
7807 Malessere e affaticamento, e successivamente con il codice:
780.71 Sindrome da affaticamento cronico
e nelì ICD-10, recepito dall' Italia ma non ancora applicato (?):
G93.3 Postviral fatigue syndrome
Includes: benign myalgic encephomyelitis
Speriamo in un veloce passaggio da ICD-9 a ICD-10