"Inquadramento clinico diagnostico della C.F.S."
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Inviato 24 agosto 2007 - 17:04:14
D. Racciatti Clinica delle Malattie Infettive, Università "G. D'Annunzio" – Chieti
La Sindrome da Fatica Cronica (CFS) costituisce il sottogruppo più significativo di una patologia assai diffusa nella popolazione generale, in associazione ad altri sottogruppi che includono la "fatica prolungata", ossia una fatica persistente da almeno un mese, e la "fatica cronica idiopatica" che si distingue dalla CFS per la non rispondenza dei criteri di carattere diagnostico9. Attualmente non esistono test diagnostici specifici per la CFS e le indagini laboratoristico-strumentali hanno solamente lo scopo di escludere altre
patologie note che possano giustificare la sintomatologia riferita da tali pazienti. Inoltre, non sono disponibili al momento terapie specifiche e mirate, dato che la eziopatogenesi della sindrome rimane ancora in parte non chiarita e pertanto vengono impiegate solo terapie sintomatiche, quali magnesio solfato, acidi grassi poliinsaturi, farmaci antiossidanti, carnitina, antidepressivi.
Sebbene alcune forme di CFS siano riconducibili a cause ben precise, come quelle
dovute ad esposizione a tossici ambientali e/o alimentari2, 5, 11, 13, 20, nella maggioranza dei casi l'eziologia non è ancora ben definita. Tuttavia, dagli studi eziopatogenetici condotti fino ad ora può delinearsi un quadro, ove la CFS viene a collocarsi in un crocevia nel quale si incontrano meccanismi patogenetici più svariati, non tutti del resto necessariamente presenti in ogni singolo paziente ma tutti comunque in grado di interagire in qualche modo tra di loro: infezioni virali latenti e/o croniche, disfunzioni immunologiche e neuroendocrine, fattori psicologici, ambientali e comportamentali15, 16. Rimane tuttavia da capire se ognuno dei diversi momenti patogenetici è responsabile di un certo numero di sintomi, e quindi di un sottogruppo di pazienti con CFS, o se tutti contribuiscono,
in varia misura, al determinismo della malattia.
Dal 1° gennaio 1992, presso la Clinica delle Malattie Infettive dell'Università "G.
D'Annunzio" di Chieti è stato attivato un Centro di Riferimento Nazionale per lo Studio della CFS da parte del Laboratorio di Epidemiologia e di Statistica dell'Istituto Superiore di Sanità. Obiettivi del nostro Centro sono: stabilire le dimensioni del fenomeno CFS in Italia; analizzarne le caratteristiche demografiche, cliniche e di laboratorio; e soprattutto individuarne gli eventuali parametri anamnestici, clinici e laboratoristico-strumentali che consentano di differenziare i casi di CFS da altre patologie, organiche e non, ben definite, in particolare dalle sindromi psichiatriche maggiori, prime fra tutte la depressione maggiore.
Per l'esattezza, l'intento delle indagini effettuate presso il nostro Centro è quello di
individuare esami eventualmente dotati di una specificità selettiva per la CFS, tanto da poterli considerare marcatori diagnostici per questa sindrome.
A tale scopo, i pazienti afferenti al nostro Centro vengono avviati ad un iter diagnostico da noi man mano delineato alla luce dell'esperienza sulla CFS accumulata nel corso degli anni. Per formulare e/o escludere la diagnosi di CFS viene utilizzata la definizione di caso operativa, elaborata nel 1994 dai CDC statunitensi, con relativo score9. Inoltre, abbiamo collaborato con l'Istituto Superiore di Sanità ad un'indagine epidemiologica volta proprio a valutare la validità della revisione di caso operata dai CDC Americani nel 1994, comparando le due definizioni di caso, rispettivamente del 1988 e del 1994.
Nei pazienti con CFS confermata vengono effettuati poi esami di laboratorio volti
principalmente ad escludere alterazioni indicative di patologie organiche ben definite, ma nello stesso tempo con l'intento di individuare eventuali anomalie peculiari della CFS.
Il secondo passaggio dell'approccio metodologico ai pazienti con sospetta CFS prevede una valutazione del profilo psichiatrico di questi pazienti da parte dei Colleghi della Cattedra di Psichiatria. Essa consta di un'intervista psichiatrica da parte dello specialista e di una batteria di tests psicometrici, ove figurano il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (M.M.P.I), ed il test di Hamilton con lo score per l'ansia e per la depressione.
Al termine, la diagnosi psichiatrica viene redatta con l'ausilio delle informazioni
ricavate dai dati neuropsicologici e psicopatologici, in conformità con il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - Fourth Edition).
I pazienti che dopo queste prime valutazioni generali possono essere inquadrati in
una diagnosi presunta di CFS vengono avviati ad una serie di indagini più mirate per lo studio della sindrome, ed in particolare: studio delle sottopopolazioni linfocitarie (CD4+, CD8+, CD56+); valutazione del ritmo circadiano di cortisolo (CS), prolattina (PRL), ormone tireotropo (TSH), ormone adrenocorticotropo (ACTH) e deidroepiandrosterone (DHEA-S); test da stimolo al buspirone con determinazione delle concentrazioni basali e al picco di prolattina e GH, esprimendo tali differenze come percentuale di massimo incremento; valutazione estesiologica parietale, attraverso la misurazione delle soglie del dolore alla stimolazione pressoria ed elettrica dei tessuti cutaneo, sottocutaneo
e muscolare mediante algometro di Fischer8; ricerca di un'eventuale disfunzione
del sistema nervoso autonomo (S.N.A.) mediante tilt table test; valutazione ortottica, con studio della funzione oculomotoria (analisi dei movimenti extraoculari, della convergenza oculare, e della capacità di fusione dell'immagine per vicino e per lontano) e di altri parametri di funzionalità oculare (test di Shirmer e tempo di rottura del film lacrimale); valutazione otorinolaringoiatrica con decay-test prolungato e potenziali evocati uditivi (ABR).
Venendo ai risultati, i dieci anni e più che il nostro Centro ha dedicato e continua a
dedicare allo studio della CFS ci consentono, sia pure con ancora diverse problematiche aperte", di trarre alcune brevi ma importanti conclusioni con l'intento di soddisfare almeno una parte degli obiettivi prefissati.
Nonostante il considerevole bacino d'utenza di pazienti con sospetta CFS che afferisce regolarmente presso il nostro Centro, è difficile avere un'idea delle esatte dimensioni di questo fenomeno morboso in Italia, e ancor più se volessimo considerare il tasso di prevalenza di CFS nella nostra regione, dal momento che molti dei pazienti arruolati nel nostro studio provengono da altre regioni italiane.
Il fatto che solo il 40% circa dei pazienti da noi valutati abbia ricevuto una diagnosi
certa di "Sindrome da Fatica Cronica" indica inoltre che occorrerebbe una più accurata selezione a monte, con coinvolgimento e maggiore sensibilizzazione dei medici di base. Ciò si potrebbe riflettere su una più concreta acquisizione delle dimensioni del fenomeno CFS in Italia e, ancor prima, dell'impatto epidemiologico del sintomo "fatica" nel territorio nazionale.
Le caratteristiche demografiche e clinico-epidemiologiche dei nostri pazienti ci inducono ad affermare che anche in Italia, come in altri Paesi, prevale l'interessamento del sesso femminile (66.2%) e di un'età media relativamente giovanile (37.7 ± 11.2 aa), mentre all'esordio i fattori "trigger" possono essere svariati: patologie infettive in 113 pazienti, peraltro per lo più aspecifiche, di tipo simil-influenzale; fattori tossici in 7 casi;fattori stressanti in 81 pazienti. In 33 casi peraltro non è stato possibile identificare uno specifico agente causale.
Lo studio della prevalenza dei sintomi riferiti dai nostri pazienti non ha evidenziato
peculiarità degne di nota, fatta eccezione per una pressocchè costante presenza di sintomi neuropsicologici (soprattutto difficoltà di concentrazione e disturbi della memoria a breve termine), a conferma, assieme con i dati della SPET cerebrale che alcuni dei nostri pazienti hanno effettuato, che il sistema nervoso centrale costituisce uno dei principali bersagli che la noxa patogena, quale essa sia, finisce con il colpire.
Gli esami di laboratorio anche se da un lato continuano ad offrirci uno scarso ausilio
nella caratterizzazione dei pazienti con CFS, dall'altro rivestono una considerevole
importanza perlomeno nell'escludere altre patologie accomunate dagli stessi sintomi.
Indubbiamente, il problema di identificare marcatori di laboratorio specifici per la CFS è sentito ampiamente, e ciò giustifica le svariate ricerche che sono state condotte in questo senso in svariati Paesi6, 21.
Più interessanti sembrano essere i risultati ottenuti dagli studi immunologici e neuroendocrini.
Lo studio dell'assetto immunitario dei pazienti con CFS, comparato con
quello di soggetti sani di controllo, ha infatti mostrato anomalie a nostro parere peculiari della sindrome, e che comunque concordano con i dati della letteratura12, 18. In particolare, il significativo decremento delle cellule T CD8+, con relativo incremento del rapporto CD4/CD8, potrebbe svolgere un ruolo chiave nell'indurre un cronico e persistente stato di attivazione immunitaria, se da ulteriori tipizzazioni linfocitarie che ci siamo prefissi di effettuare verrà confermato quanto già riportato in letteratura, ossia di un prevalente coinvolgimento delle cellule T CD8+ "suppressor" (CD8+CD11b+) che, in quanto deficitarie, non "arginerebbero" più la risposta fisiologica del sistema immunitario
comunemente osservata ogni qualvolta si venga a contatto con tutto ciò che viene
definito "non-self". Inoltre il significativo decremento delle cellule NK CD56+ in corso di CFS potrebbe contribuire nel determinismo di ricorrenti episodi infettivi osservati in almeno un sottogruppo di pazienti, visto il ruolo di "sentinella" svolto da queste cellule, impegnate nella prima fase, aspecifica, di riconoscimento e quindi di aggressione del "non-self".
Il profilo del ritmo circadiano ormonale dei nostri pazienti è risultato preservato, ma ciò non ci consente di escludere un coinvolgimento dell'ipotalamo nella patogenesi della sindrome se si considerano le innumerevoli funzioni svolte da questa ghiandola. Ciòche però sembra assai interessante, e che quindi merita di essere sottolineato, è l'andamentocronobiologico della prolattina nei diversi gruppi di pazienti esaminati: i valori del mesor di PRL più elevati nei pazienti con CFS rispetto ai pazienti con depressionemaggiore "pura" supportano l'ipotesi di una sovraregolazione dei recettori serotoninergiciin corso di CFS. Inoltre, questa osservazione è altamente suggestiva per ipotizzare che alla base della sintomatologia depressiva pur riferita dai pazienti con CFS, vi sia un meccanismo fisiopatologico ben distinto rispetto a quello che interviene nel corso delladepressione "pura".
Infine il test al buspirone effettuato nei nostri pazienti ha confermato l'esistenza di
una sovraregolazione dei recettori 5HT1A ipotalamici in corso di CFS come segnalato dalla letteratura1, ma soprattutto ha evidenziato un incremento di prolattina più marcato nei pazienti con CFS se confrontato con quello osservato nei pazienti con depressione "pura". Per tale motivo, esso è stato individuato come test utile nella diagnostica differenziale tra CFS e depressione maggiore.
I risultati dell'esame estesiologico nei pazienti con CFS hanno evidenziato uno stato
di iperalgesia generalizzata solamente a livello muscolare. Ciò indica innanzitutto una diversificazione netta della sindrome nei confronti della fibromialgia e della sindrome miofasciale, e consente pertanto di proporre l'esame estesiologico come test di routine in aiuto alla diagnosi differenziale in caso di dolore/fatica muscolo-scheletrici cronici di incerto inquadramento. Inoltre, il riscontro di iperalgesia muscolare diffusa ma selettiva non consentirebbe di per sè di escludere una genesi tutta centrale dei sintomi: i neuroni che elaborano il segnale muscolare non sono necessariamente gli stessi che elaborano il segnale cutaneo/sottocutaneo. Il fatto però che all'iperalgesia siano costantemente associate alterazioni locali muscolari, sia strutturali che funzionali, è a nostro parere fortemente
indicativo di un significativo contributo periferico alle manifestazioni cliniche
di dolore e/o fatica muscolo-scheletrica nei pazienti con CFS22, come anche dimostrato dalle indagini oculistiche e otorinolaringoiatriche: la ridotta capacità dinamica della muscolatura addetta alla funzione oculomotoria e i dati emersi dall'analisi del Decay Test Prolungato (DTP) tendono a confermare l'esistenza di anomalie per lo meno funzionali della fibra muscolare dei pazienti affetti da CFS.
Va però aggiunto che l'indagine otoneurologica è stata poi approfondita con lo studio dei potenziali evocati acustici (ABR) per valutare eventuali alterazioni della sostanza bianca encefalica e/o della giunzione cito-neurale dell'organo del Corti: in metà dei pazienti esaminati è stata documentata l'assenza della I e della III onda. In definitiva le alterazioni osservate con la metodica del DTP e quelle documentate dall'esame ABR contribuiscono a suggerire l'esistenza di almeno due tipi di anomalie: una propriamente miogena, e altre più probabilmente neurogene centrali.
Tuttavia, quale sia la genesi dei sintomi muscolo-scheletrici in corso di CFS rimane
a tutt'oggi un argomento assai dibattuto: alcuni Autori sostengono che la sintomatologia muscolare della CFS sia di origine centrale sulla base del fatto che non hanno riscontrato anomalie significative all'esame bioptico del tessuto muscolare nei pazienti con CFS7. Altri Autori invece hanno trovato modificazioni bioptiche3, 10 che avvalorerebbero l'ipotesi di un'origine periferica della fatica. In particolare, i risultati ottenuti presso il nostro Centro confermano l'esistenza di un danno del metabolismo ossidativo a livello muscolare: incremento dei markers di danno ossidativo a carico del muscolo (8idrossi-2-deossiguanosina, e MDA), incremento dell'attività di enzimi del sistema anti-ossidante (in particolar modo della perossidasi)10. Assai ancora più interessanti appaiono questi
ultimi dati, se si considera la straordinaria analogia che essi mostrano con i dati ricavati da studiosi australiani e dal nostro gruppo di studio su campioni di plasma di pazienti con CFS17, 23. Pertanto, non è certamente azzardato assimilare, almeno una quota consistente di casi di CFS, proprio alle miopatie mitocondriali, che, anche se congenite, possono manifestarsi in età adulta e sono spesso precipitate da infezioni virali o, ad esempio, da deficit di mioadenilato-deaminasi.
I risultati che abbiamo ricavato dallo studio del sistema nervoso autonomo mediante applicazione del tilt table test, concordano con i risultati riportati da altri Autori4, 19.
Tuttavia, occorre sottolineare che la positività del tilt table test non riveste un significato patologico, ma serve solamente ad identificare quei soggetti che possiedono la predisposizione a sviluppare una condizione di ipotensione neurologicamente mediata (INM).
Alla luce di queste osservazioni, appare pertanto importante effettuare ulteriori studi in questo settore per così individuare gli eventuali meccanismi fisiopatologici che sono coinvolti nello sviluppo di una condizione di INM in corso di CFS. L'importanza di queste ricerche è ancora più evidente se si considera che da tali ricerche si potrebbe arrivare ad identificare un particolare sottogruppo di pazienti CFS potenzialmente eleggibili ad un trattamento risolutivo19.
In conclusione, a tutt'oggi restano da approfondire svariati aspetti fisiopatologici del
fenomeno morboso costituito dalla CFS che, almeno in Italia, continua spesso ad essere sottovalutato dalla classe medica, o comunque troppo sbrigativamente etichettato come disturbo psichiatrico. Indubbiamente, momento fondamentale nell'inquadramento del paziente che si rivolge al medico per il persistere per un periodo più o meno protratto del sintomo "fatica" rimane l'approccio clinico-semeiologico, affiancato dal colloquio di tipo più specialistico di pertinenza psichiatrica.
Il risultato forse più positivo per la maggior parte dei pazienti da noi seguiti è stato
quello di aver trovato da parte nostra attenzione. Il nostro contributo allo studio della CFS si può infatti definire come un tentativo di identificare un substrato organico che possa giustificare quella profonda convinzione di essere ammalati che emerge dal colloquio con pazienti esaminati. In tal senso certamente appare promettente lo studio di quelle forme ad eziologia più o meno conosciuta (es.: forme ad esordio susseguente l'esposizione a fattori tossici) che possono rappresentare un modello patogenetico su cui approfondire la ricerca
di altre cause che, seppur completamente diverse, agiscano con analogo meccanismo.
Tra queste è evidente che un ruolo importante potrebbero avere le infezioni latenti e/o croniche di cui quelle da virus erpetici rappresentano il prototipo (HHV6 ed EBV), senza dimenticare lo stesso HIV: senza dubbio quest'ultima infezione, soprattutto dopo l'avvento della terapia HAART, rappresenta un ottimo e valido modello di patologia cronica ove viene riportata un'elevata prevalenza del sintomo fatica. Come nel caso specifico dell'HIV, così in ogni forma di patologia cronica caratterizzata dalla persistenza del sintomo fatica si rende necessario approfondire ogni aspetto socio-economico e poi più strettamente medico relativo al paziente che ci troviamo di fronte: è infatti quanto suggerito in corso di infezione
da HIV14, proprio per valutare di conseguenza anche approcci interventistici di un
qualche reale beneficio sul management delle attività quotidiane svolte usualmente dai pazienti, al fine di contribuire ad alleviare questo aspecifico ma assai fastidioso problema dell'astenia, qualunque sia la causa scatenante.
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CONVEGNO MANTOVA
18 Febbraio 2006 http://www.associazi...it/Mantova2.pdf
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